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CASELLI UOMO |
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Alcune notizie su Caselli
di Renato Righetti
I miei primi incontri con Giuseppe Caselli, chiamato familiarmente Pino dagli amici che gli erano più vicini (e ci fu un tempo in cui anch'io lo chiamai così) avvennero fra la fine del 1932 e il 1933, all'epoca in cui capitava spesso alla Spezia Fillìa, il quale con la mostra d'arte sacra futurista e di aereopittura tenuta nel novembre alla Casa d'arte di Salmojraghi e con l'annuncio del Premio di pittura “Golfo della Spezia", che avrebbe realizzato da un'idea di Marinetti nell'estate prossima, aveva ridato un certo movimento all'ambiente artistico spezzino che dopo i fastosi falò accesi dalla Compagnia della Zimarra, si era un po‘ come ripiegato su se stesso, anche per la partenza di taluni suoi componenti, P.M. Bardi e Francesco Gamba per Milano, Governato per Genova, Cafiero Luperini per Roma, dove ciascuno si era trasferito in cerca di migliore fortuna.
Con Caselli mi imbattevo qualche volta casualmente per strada e ci accompagnavamo per brevi tratti, qualche altra volta ci trovavamo nel bar del "Duca degli Abruzzi", che già allora era sede del Dopolavoro ferroviario, ma che non era frequentato solo dai ferrovieri, bensì anche da un piccolo gruppo di artisti, tra cui il poeta Luigi Perasso, pressoché dimenticato dai concittadini anche se ha lasciato due delicate raccolte di versi e nonostante la targa che, per iniziativa civica, figura sulla casa dove ebbe i natali (via Torino, 67), lo scrittore Giovanni Petronilli, che in cinquant'anni da allora ha messo insieme una bella pila di libri, romanzi, racconti, memorie, che tende ad allungarsi con altri titoli, il pianista e compositore Enrico Salines, l'attore e scenografo Mario Benedetti, il filosofo Mario Foce, l'aviatore e poeta, come allora amava definirsi, Krimer, che ogni tanto piombava inaspettatamente qui da Viareggio, il pittore Vignazia del gruppo futurista torinese, marinaio di leva alla Spezia, nonché, in successivi periodi, lo scrittore Enzo Pandolfo di Roma, che nel 1934 darà vita ad un gruppo futurista spezzino, piuttosto sparuto e scarsamente vitale.
A quel tempo Caselli era sui quarant'anni e aveva forse compiuto la parte più ragguardevole del suo iter pittorico, conquistando una posizione di preminenza nella considerazione dell'élite culturale di quel tempo, costituita da professionisti, uomini d'affari e imprenditori, affascinati dalla splendida leggibilità di una pittura che appagava lo sguardo dei più sensibili e suggeriva ai più astuti possibilità di remunerative capitalizzazioni.
A parte Felice Del Santo, ancora sulla breccia malgrado l'età e la cui opera continuava a godere, nei circoli dei benestanti, di notevole prestigio, Caselli era ritenuto il maggior pittore della nuova generazione, ma nessuno aveva mai pensato di poterlo sovrapporre al maestro e nemmeno di poterlo elevare al suo pari. Del Santo aveva la physique du ròle e avanzando in età aveva mantenuto, ed anzi accresciuto, l'autorevolezza e la dignità che gli erano proprie fin dagli anni giovanili. A questo proposito, mi vien fatto di ricordare, a conferma della sua autorevolezza, il comportamento nobile e fiero con cui sostenne, nel Caffè Lasagna dei portici Chiodo, una sera del maggio 1933, un improvviso attacco di Fillìa, saltato in piedi a controbattere alcune frasi non proprio di simpatia pronunciate da Del Santo contro Marinetti, nel crocchio di amici che lo contornava nel tavolo poco discosto da quello in cui sedevano due giovani sconosciuti, uno dei quali, per somma iella, era addirittura un amico e collaboratore del capo del futurismo.
Pino Caselli era giunto allo studio di Del Santo attorno al
1910. Ce l'ha raccontato, in uno scritto di giovanili ricordi, lo scultore Enrico Carmassi: “Lo studio era frequentato da alcuni giovani, fra i quali Caselli, da poco ritornato da Firenze, dove era stato per qualche tempo a quella scuola libera del nudo". Qui era nata e si era stretta l'amicizia tra Caselli e Aprigliano che nel suo scritto Carmassi ha fatto gustosamente rivivere in una nota di colore: “Caselli dipingeva con estro le nature morte: mele, pere, uva, che regolarmente e nascostamente Apri- gliano gli andava mangiando.
Felici e ilari giorni di povertà, di sogni, di un impegno spregiato dai più, di camminate lungo le rive del golfo e le coste delle Cinque Terre, tra le valli e i crinali dei monti, riempiendosi gli occhi degli sfolgorii di luci emanati dal cielo, sorbendo l’aria tersa e leggera, sapida di salmastro sugli scogli e profumata di fiori e di erbe sulle pendici montane. Appunto quelle ormai note camminate per raggiungere Discovolo a Manarola, travalicando i monti della Spezia e, qualche anno dopo, travaIicando anche quelli delle Cinque Terre, per raggiungerlo a Bonassola dove si era trasferito, appagati di poter a lungo mirare e rimirare, meditare ed indagare i dipinti del maestro che sapeva racchiudere i silenzi ed i palpiti del mare e della natura in una immagine poetica suggerita da un moto dell'anima.
Perché ciascuno possa rendersi conto di quanto affetto i due amici nutrissero per Antonio Discovolo, cito qui uno stralcio della lettera che in data 20 luglio 1956 Aprigliano scrisse alla signora Caterina Bordone, consorte del maestro scomparso da pochi giorni. La lettera che Mauro Discovolo mi ha recentemente inviato in fotocopia, avendola ritrovata nel riordinare l'archivio di famiglia, dice fra l'altro: Lei soprattutto sa quanto noi eravamo affezionati e quanto ammiravamo l'opera amorosa del valoroso pittore. Ricorderà che, giovanetti, per ammirare quell’opera, specie quando doveva inviare quei quadri alle Biennali veneziane o quando doveva presentarli nelle mostre personali, noi da Spezia partivamo col semplice cavallo di San Francesco, armati di carta colori e di qualche soldarello: era la sola gioia, la più grande gioia entrare nello studio del maestro.
In realtà Antonio Discovolo ha contribuito con i suoi consigli ed incoraggiamenti, alla formazione di Aprigliano e di Caselli, e ancora più che a quella di Aprigliano, rimasto sempre più libero e disimpegnato, a quella di Caselli, il quale si era in certo senso sentito più legato al maestro per una spontanea affinità dovuta forse allo stesso amore che entrambi avevano per il mare, che più di tutto accende va la loro ispirazione nella trascolorante mutevolezza dei suoi aspeni. Ricchissima e varia è la tematica che Caselli ha affrontato in oltre sessant'anni di operosità, ma il mare, inizialmente e poi per lungo tempo, è stato l'argomento prediletto della sua tavolozza.
La sua prima affermazione nell'ambito cittadino è infatti dovuta essenzialmente alle
prestigiose marine, con gli scoscesi dirupi delle coste, le piccole case tra ciuffi di pini e di
ulivi, le calme distese di un mare scintillante di luce e soprattutto il tumultuare delle onde
scroscianti nell’ora della burrasca.
Caselli senti il fascino della
maestria di Discovolo. Una volta gli capitò, forse per sfida a
se stesso, di dipingere un quadro, una petrosa Manarola rincantucciata tra le rocce, vista
addirittura in un’ottica quasi discovoliana: forma, colore, taglio e impaginazione. Questo
quadro, che ha rappresentato il
punto più alto dell|’identificarsi
della sua pittura in quella del
maestro, fu come un avvertimento che lo mise in allarme.
Non lo distrusse per amor di verità, anche se esso avrebbe
magari potuto rappresentare
agli occhi di qualcuno un tentativo di imitazione di un quadro
di Discovolo ("U|timo sole su
Manarola", dipinto nel 1909 ed
esposto all’ottava Biennale di
Venezia), ma rinunciò a firmarlo esplicitamente e preferì ricorrere ad uno pseudonimo
-“Liselca”- anagrammando il
suo nome a sillabe posposte
all'indietro, una dopo l'altra,
con sottile e pungente allusione allo stato d’animo di quella
sua penosa ora di ripensamento. Il quadro che figura in questa antologia, è pervenuto
all’attuale proprietario, per lascito familiare, da fonte non sospetta: la collezione di Rinaldo
Cassanello, valentissimo chirurgo nel nostro Ospedale civile degli anni venti e mecenate
di cui Caselli conobbe la generosità
La via di scampo che ha consentito al giovane pittore di allontanarsi man mano dalla linea discovoliana che era venuta segnando sempre più decisamente, a voce degli stessi
suoi supporters, primo fra tutti
Armando Gatti, la sua pittura,
fu quella dell'espressionismo,
che in quegli anni aveva in Italia una ristrettissima cerchia di
seguaci, come Boccioni, Viani,
Gino Rossi, e pochi altri.
L’espressionismo che, com’è
risaputo, è un po’una carica
emozionale che si scatena
nell'anima dell’artista dinanzi
agli spettacoli della realtà, può
considerarsi una specie di sortilegio che alita dentro e che si
manifesta con violenza, all'improvviso.
Fu Lorenzo Viani con i malinconici e dolenti personaggi dei
suoi dipinti e dei suoi disegni,
con i suoi discorsi nella fiaschetteria di Vittorio Biagioni,
in piazza del Mercato, dietro la
tettoia del pesce, ad accendere questo fuoco nell'animo del
giovane Caselli, che si era appena affacciato ai vent'anni.
L'artista viareggino in quei tempi, 1913 e 1914, veniva spesso
alla Spezia per incontrarsi con
Emilio Mantelli, Alberto Caligiani e altri artisti. Tra essi anche
Caselli, molto interessato alle
discussioni che si allungavano,
facendosi sempre più vivaci,
tra un bicchiere e l'altro. La pittura di Viani, tutta mossa da impeti libertari, percorsa da un
fremito di ribellione, da un profondo e mordente bisogno di riscossa umanitaria, sconvolgva l’animo di Caselli, abituato
alle serene visioni marine, alle
fresche visioni campestri, ai
volti aperti e chiari delle figure
che Discovolo amava ritrarre
tra coloro che lo contornavano.
Un mondo che aveva una sua
chiara dolcezza anche quando
coglieva dall’alto le onde in
tempesta e il violento frangersi
dei marosi contro la scogliera. |
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